Di Alarico Lazzaro
Il 2 settembre del 1973 si spegnava a Bournemouth, all’età di ottantadue anni, J. R. R. Tolkien, filologo, linguista, accademico, scrittore e padre nobile del genere fantasy, di cui “Lo Hobbit” pubblicato nel 1937 sarà per sempre l’eterno capostipite.
Un capostipite da cui Tolkien ramificherà le numerose pietre miliari che raccontano l’epopea della terra di mezzo attraverso le diverse ere: dalla trilogia del Signore degli anelli al Silmarillion passando per i figli di Húrin, le avventure dell’istrionico Tom Bombadil, I racconti perduti, La caduta di Gondolin e il celebrato Beren e Lúthien. L’ultima opera citata, nonostante la pubblicazione postuma, è la chiave di lettura necessaria per capire la profonda intimità, il personalismo e la spiritualità che permeano ogni opera tolkeniana. Sulla tomba comune che il filologo condivide con la moglie Edith ad Oxford (nel cimitero di Wolvercote) troneggiano imperiosi i nomi elfici dei due protagonisti di una storia di una passione travolgente quanto complessa, animata dall’ostruzionismo della famiglia di Lúthien (che fu pari a quello della famiglia di Edith nei confronti di Tolkien) e da un ardente sentimento che unisce i due amanti. Beren e Lúthien sono quindi l’immagine speculare e fantastica di Tolkien ed Edith con lei che balla per lui in una fiorente radura, uniti nella vita e nel mondo ultraterreno come a voler sfidare e vincere i confini del tempo e la finitezza della natura umana, la stessa sfida che unirà l’erede al trono Aragorn e la principessa elfica Arwen mentre l’oscurità avanza e le schiere di Mordor sono alla ricerca dell’unico anello.
Tolkien è stato uno studioso eccezionale, amico fraterno e ispirazione nella letteratura e nella fede perfino per C. W. Lewis, celebrato autore delle Cronache di Narnia.
Tolkien fu capace di trovare la propria strada ad Oxford in lingua e letteratura inglese dopo un periodo speso tra i classici greci e latini.
Proprio a partire dalle vastissime conoscenze del suo autore, sono tantissime nelle opere fantasy del filologo le contaminazioni culturali da cui nascono i suoi protagonisti. Gandalf è un personaggio odinico, modellato sull’epopea dell’antico mago barbuto e vagabondo ben cementata nella mitologia nordica e norrena (il Väinämöinen finlandese ricorda moltissimo per lineamenti e peculiarità lo stregone tolkeniano) e come nel Götterdämmerung (la caduta degli dei) la sua venuta e il suo ruolo da deus ex machina sono funzionali all’ultimo, disperato tentativo delle fazioni del bene di arrestare Sauron e la fine di un mondo di pace e prosperità che la terra di mezzo contemplava da anni.
Tolkien fu anche fiero poeta e medievista e gli echi di quelli che molti definiscono erroneamente secoli bui sono tangibili in numerosi dei suoi scritti: dagli antichi richiami al ciclo bretone e alla Chanson de Roland nel più umano e volubile dei suoi eroi, Boromir, fino all’eroismo di Aragorn emblema del re taumaturgo e di antichi guerrieri la cui ispirazione affonda le radici nell’epica anglosassone (Beowulf in primis).
Ma ad influenzare Tolkien non sarà solo la cultura, la lettura e l’infinito amore della giovane Edith. A permeare ogni aspetto delle opere Tolkeniane ci sarà sempre lei: la Guerra.
Quando nel 1915 la terra di sua maestà muove ostilità nei confronti degli Imperi Centrali, venendo coinvolta nella Prima Guerra Mondiale, Tolkien decide spontaneamente di arruolarsi. A quei tempi partecipare allo sforzo bellico della propria patria era motivo d’orgoglio, astenersi dal farlo, al contrario, di vergogna e codardia.
Finiti gli studi sperimenterà un anno di addestramento nel reggimento di fanteria dei Lancashire Fusiliers, dove verrà arruolato come sottotenente.
Nelle corrispondenze con Edith emergerà tutta la profonda amarezza di Tolkien nei confronti degli uomini che combattono o stanno per farlo nel teatro bellico, uomini che per lo scrittore difficilmente possono ancora chiamarsi essere umani.
Nel giugno del 1916 il reggimento di Tolkien verrà inviato in Francia dove il giovane sperimenterà l’orrore delle trincee, la guerra di logoramento e posizione, l’attesa sfiancante, le malattie, il timore di non rivedere più i propri affetti, il fuoco, la morte.
Dalla battaglia delle Somme durata cinque mesi, e costata la vita ad oltre un milione di soldati fra gli alleati degli anglo-americani e l’esercito del Kaiser, Tolkien verrà irrimediabilmente segnato, una ferita destinata a non rimarginarsi mai più al pari di quella inferta a Frodo dai Nazgul e che si riflette nelle idee politiche dell’autore che, durante la Seconda guerra mondiale, si esprimerà duramente contro ogni forma di totalitarismo e autoritarismo imperante in Europa.
Dai mesi al fronte deriverà l’ispirazione per raccontare alcuni dei momenti più iconici ma anche brutali della sua produzione fantasy: le fasi alterne di attacco e difesa attendista, nel buio delle trincee, durante il primo conflitto mondiale sono riscontrabili negli assedi e nelle disperate resistenze di Minas Tirith, dell’ultima alleanza tra uomini ed elfi nel fosso di Helm, o della città di Gondolin.
Il fuoco delle armi è lo stesso che anima il demone Balrog e il percorso di Frodo, Gollum e il fido Sam (definito da Tolkien il prototipo perfetto del “Tommy” ossia il soldato semplice britannico) ricorda lo scenario del teatro bellico delle Somme: brullo, sudicio, arido e sporco del sangue versato di chi combatté per onore e lealtà nei confronti del proprio paese.
Tolkien perse due fraterni amici nella battaglia delle Somme, Robert Quilter Gilson e Geoffrey Bache Smith che assieme a Christopher Wiseman costituirono con John il Tea Club and Barrovian Society con l’obiettivo di cambiare il mondo attraverso il potere dell’arte, della musica e della cultura.
La madre di Smith pubblicò le poesie scritte dal figlio a seguito della sua morte. La raccolta, dal nome “A Spring Harvest”, è un eccezionale esercizio stilistico e avrebbe lasciato presagire un futuro brillante per il giovane poeta. Tolkien volle firmare la prefazione, tributando all’amico un ultimo e degno saluto.
Con Wiseman i contatti divennero sempre più freddi e sporadici. Nonostante ciò, John chiamò il suo terzo figlio Cristopher, in nome dell’antica amicizia che li legava. Scomparso nel 2020 Cristopher ha contribuito alla pubblicazione di tutte le opere postume del padre e per oltre 50 anni ha tenuto in vita il mito e il ricordo del più grande autore della storia della letteratura britannica. Un mito destinato a durare in eterno attraverso i suoi capolavori, ispirati da spiritualità e positività ma anche da crudo realismo.
Il padre del fantasy, il figlio della brutalità della guerra.