Di Nello Simonelli
La geopolitica è una particolare disciplina che si interessa delle relazioni tra geografia fisica, umana ed azione politica. La sua popolarità si è accresciuta a dismisura alla luce degli stravolgimenti mondiali che si sono verificati nel corso degli ultimi 20 anni nel mondo, passando da materia di studio per gli esperti a, quasi e provocatoriamente, argomento di gossip quotidiano.
Nonostante ciò, c’è chi, pur favorevole ad una diffusione tra il vasto pubblico della geopolitica, riesce a trattare l’argomento con piena cognizione di causa ed evitando l’abbassamento dell’asticella qualitativa, rischio sempre dietro l’angolo qualora si tende a rendere popolare ciò che è di nicchia.
Tra questi c’è Lorenzo Vita, classe 1991, una laurea in Giurisprudenza, giornalista per Il Giornale, autore di diversi reportage in Catalogna, Estonia, Lettonia, Finlandia e Kosovo e, per Giubilei Regnani, de “L’Onda turca. Il destino di Ankara nel Mediterraneo allargato”. Con un obiettivo, chiaro: raccontare quel che avviene nel mondo, offrendo una visione lucida e non parziale. Ed è con lui che andiamo ad esplorare il contenuto del suo ultimo libro, da poco nelle librerie d’Italia, edito da Historica Edizioni e con la prefazione di un’altra eccellenza del settore, Michela Mercuri, “Imperi (in)finiti. Russia, Turchia, Francia, Regno Unito in lotta contro il destino.
Lorenzo, tra colleghi diamoci del tu: registriamo, a causa degli sconvolgimenti bellici in Ucraina, un interesse nella geopolitica anche da parte del comune cittadino. Che chiave di lettura puoi dare?
L’interesse per quanto accade dentro e oltre i nostri confini è fondamentale. Ora ce ne rendiamo conto con le bollette o perché l’Ucraina è alle porte dell’Ue e vediamo da vicino la guerra. Ma nessuno può studiare i problemi quotidiani se non ci rendiamo conto che dall’energia a internet, dalla sicurezza alla nostra stessa sopravvivenza, dal cibo al prossimo governo, tutto si fonda sul nostro rapporto con gli altri Stati e sulle dinamiche internazionale. Per molto tempo in Italia parlarne è sembrato un tabù: una sorta di retaggio di potenza in un mondo in cui ci siamo convinti di contare sempre meno. Poi abbiamo iniziato a capire che non è così, che il mondo incide eccome sulla nostra vita e che comprendere perché gli altri si comportano in un certo modo serve a chiarire tanti elementi che a noi sembrano improvvisi o emergenziali.
Cosa ti ha portato, in un frangente storico in cui vi è una estrema polarizzazione sul tema, a voler fare un’analisi approfondita sullo stato di salute dei quattro grandi colossi dell’imperialismo europeo?
L’idea del libro nasce qualche anno fa collegando alcuni punti che, per chi segue la cronaca, spesso appaiono slegati l’uno dall’altro. Osservando le ultime crisi, dalla Siria alla Libia, dal Caucaso al Sahel, fino all’ascesa di alcune potenze o alla crisi dell’Ue, e partendo dai discorsi di alcuni leader, mi sono iniziato a chiedere perché certi attori (quelli selezionati nel libro) si comportano in un determinato schema, con metodi diversi ma quasi sempre con gli stessi interessi e le stesse traiettorie. Il libro nasce quindi da due esigenze: vedere come agiscono questi vecchi imperi che hanno deciso le sorti dell’Europa, perché sono quelli che caratterizzano la nostra cronaca, ma anche metterci di fronte al loro destino quasi tragico: i veri due imperi sono altrove, ben lontani dal nostro continente. La guerra in Ucraina ha inciso nella fase di elaborazione, ma ha ulteriormente rafforzato il mio proposito, anche a costo di “sfidare” la polarizzazione.
In “Imperi (in)finiti” affermi “La storia non si è fermata, ma era stata solo dimenticata”. Perché utilizzare questa affermazione in riferimento a ciò che stiamo vivendo oggi?
Per diverso tempo, soprattutto con la fine della Guerra Fredda, ci siamo illusi che in Occidente le cose andassero bene, che tutti ci dovessimo conformare a un comune destino di pace e che la guerra fosse un lontano ricordo. Un po’ sollevati da quella “fine della Storia” affermata da Francis Fukuyama. È stata una parentesi tutto sommato breve e molto illusoria. Perché se guardiamo a come si comportano le nazioni, potenze più o meno grandi, tutte seguono i propri interessi, molti dei quali appaiono immutabili. E, ahinoi, non è detto che questi interessi non siano difesi con le armi (di varia natura). Io non sono uno storico, e ci tengo a precisarlo. Ma mi piace guardare all’attualità pensando che forse, conoscendo il passato dei singoli Stati, sapremmo non solo anticiparne le mosse ma anche relazionarci meglio con loro. Un esempio: l’invasione dell’Ucraina tutto era fuorché inimmaginabile.
É possibile, per uno storico, uno studioso di geopolitica, un analista, poter fare un’analisi chiara, ragionata ed imparziale sugli avvenimenti odierni senza esser tacciati di filoputinismo o antiputinismo?
Più che di imparzialità parlerei di razionalità: non si può essere imparziali se un popolo viene bombardato, ma si può essere lucidi nel comprenderne i processi culturali, storici e geopolitici che hanno condotto alla guerra. È molto difficile, ma direi che è doveroso. Ragionare sulla guerra e sulle cause dell’invasione non è sinonimo di giustificare. Noi purtroppo – e lo dico da giornalista – ci siamo paralizzati sulla pessima idea che spiegare o semplicemente mostrare il punto di vista di una parte sia un modo per darle ragione. Ma il nostro dovere non è educare e dire da che parte stare, ma raccontare cosa sta accadendo e perché. Il lettore non è un bambino.
Cosa accomuna l’Impero russo all’Occidente ed all’Europa? Quanto, altrimenti, lo rende un universo a parte, più affine all’Oriente?
La Russia è legata in maniera indissolubile all’Europa dal punto di vista culturale, storico e religioso. Mentre l’Oriente, con i suoi poteri millenari, le sue tempistiche, la distanza culturale rispetto al mondo liberale e certamente anche per la pura geografia, non può che essere un interlocutore privilegiato. La verità è che analizzando bene la Russia, mi viene da dire che essa si considera una civiltà a parte, diversa rispetto a quelle dell’Europa occidentale – da cui però rimane fatalmente attratta – e da quelle orientali. Ha un suo modo di vedere e percepire sé stessa, un territorio che arriva fino al Pacifico, etnie diverse, una Chiesa nazionale che esprime valori precisi: sente di possedere una propria missione, cosa tipica di ogni impero. La Russia si sente al centro del proprio mondo e guarda a est e ovest, proprio come l’aquila bicipite.
Nel libro, alla voce Oriente, più precisamente Medio Oriente, si parla anche di Francia: il colosso transalpino ha ancora velleità di imperialismo?
La Francia per sopravvivere ha bisogno di sentirsi in grado di fare qualcosa di grande, non a caso si parla di “grandeur”. Parigi è e cerca di essere ovunque, dal Sahel al Medio Oriente, punta all’Indo-Pacifico, tratta con la Cina e la Russia, vuole guidare l’Ue, mantiene il posto nel Consiglio di Sicurezza Onu e un proprio arsenale nucleare. Il problema è che chiunque entra nell’Eliseo, Macron per primo, sa che il mondo di oggi non è quello in cui Parigi poteva dettare legge, e le superpotenze sono altre. Il ritiro è palese in ogni angolo del globo: ma senza una missione, la Francia non può che entrare in un pericoloso vortice depressivo.
Imperialismo, cosmopolitismo, tradizione: tre termini che ben si potrebbero accostate alla Turchia di Erdogan. Quale futuro per il gigante anatolico?
Difficile prevedere il futuro, più facile dire che la Turchia non fermerà facilmente i suoi sogni di gloria. Molti pensano che il tramonto di Erdogan sarà la premessa per una riduzione delle ambizioni turche, ma secondo me è un errore di valutazione: Ankara sente su di sé l’eredità del passato e si considera una potenza leader di un sistema incentrato su di sé, che sia neo-ottomano, panturco o semplicemente nazionalista. Come provo a spiegare: anche mondi diversi tra loro concordano sulla necessità di alcune mosse esterne di Erdogan. In più, al momento la Turchia è un Paese che serve a tutti i grandi attori internazionali. Questo può essere un’arma a doppio taglio: perché è facilmente scaricabile e limitato dai desiderata altrui. Ma di base, essere necessari aiuta a ottenere qualcosa in cambio.
In questi giorni, il Regno Unito si trova di fronte a diverse difficoltà economiche e ad un cambiamento storico. Con la morte di Elisabetta II si è chiuso un ciclo? Il nuovo Regno Unito, dopo la Brexit ed il cambio di Corona, che prospettive ha davanti?
A mio avviso la morte della regina è stata sovrastimata dai media in termini di impatto sul Paese. Temo che il pettegolezzo abbia preso il sopravvento sull’analisi. La crisi del (fu) impero è iniziata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e la monarchia ha semmai avuto un ruolo nel mostrare continuità a un regno che appare sempre meno unito. Ma non è che in questi decenni di Elisabetta non vi siano stati terremoti e ferite lancinanti. Le prospettive sono molto complesse. Da un lato c’è il desiderio di globalizzarsi per ricercare un’antica missione e nuovi interessi economici. Essere isola ma non isolati. Dall’altro lato, c’è un problema centrifugo, con le spinte secessioniste mai tramontate. Viviamo in un’epoca caotica: la possibilità che Brexit riapra il capitolo nordirlandese o scozzese non è da sottovalutare.
In conclusione, cosa dovrebbe spingere un lettore occasionale, un curioso ed un attento osservatore, a leggere “Imperi (in)finiti”?
Questo libro non vuole dare verità assolute ma chiavi di lettura. E si rivolge a un lettore a cui piace porsi domande. Può sembrare paradossale di questi tempi: ma ho sempre pensato che il dovere di un giornalista sia raccontare i fatti senza emettere sentenze, offrendo spunti di riflessione in un modo accessibile a tutti. Ho provato a fare un percorso: partire dal discorso di un leader per capire come la storia (e gli interessi delle singole potenze) siano molto più solidi dell’ideologia e della semplice cronaca. Siamo bombardati da tifoserie, etichette, spesso anche da arroganza… Ecco, la mia speranza è che leggendo questo libro si accenda la voglia di capire ancora meglio le dinamiche di questo mondo e perché no, aprire delle discussioni.