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Stiamo vivendo in questi giorni una tragedia immensa che ha colpito una povera ragazza che aveva tutta la vita davanti e che per la furia omicida di un soggetto disturbato e evidentemente instabile ha visto la luce spegnersi su questa vita per sempre.

L’ennesimo assassinio che ha visto una donna vittima della gelosia maniacale, della debolezza impotente di chi confonde l’amore con il possesso. La morte di Giulia Cecchettin nella sua enorme tragicità doveva essere e poteva essere l’occasione per aprire una seria riflessione non solo sul tema dell’emergenza femminicidi, ma sopratutto sul tema del disagio giovanile, della debolezza psicologica di una generazione persa, che nella sua enorme fragilità nasconde i germi di un male del vivere, di una vita vissuta nella vacuità degli amori, degli affetti e dei sentimenti.

Come tutto ciò che è fragile questo male di vivere è incline al fanatismo degli affetti, alla disperazione che conduce al male più profondo. L’occasione per mediare e meditare su tutto questo è stata sprecata, annullata dalla sovrapposizione ideologica della dottrina femminista nella sua forma più radicale ed esasperante, che conduce all’inevitabile messa in stato d’accusa di tutto il genere maschile, in quanto tale. Bastava scorrere semplicemente le stories Instagram, leggere i post di X e Facebook per assistere al processo generale al maschio, reo di essere apoditticamente colpevole.

Nessun riferimento alla più banale attribuzione personale della condotta penale, nessun ammonimento a non generalizzare, a non scadere nella banalizzazione di un fenomeno grave e tristemente in costante crescita. Invece si è dato il via al solito balletto ideologico e folle fatto di slogan privi di ogni senso. Non a caso la solita sinistra femminista ha subito rispolverato il vecchio tormentone sul “patriarcato” e da li la demonizzazione dell’essere uomo e come sempre ogni discorso costruttivo e sfumato.

Quindi a leggere commenti, editoriali e analisi l’unica cosa che traspare è la guerra dichiarata al genere maschile, responsabile in quanto tale delle azioni di ogni squilibrato. Si pensi che secondo Elly Schlein, segretaria del Pd, “serve consapevolezza per sradicare la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società”, fino a concepire la proposta politica più demenziale che si potesse solo ipotizzare e cioè quella di istituire – udite udite – a scuola l’insegnamento della “educazione all’affettività e al rispetto”, del resto ormai a scuola si fa tutto eccetto che studiare.

Poi dal suo ritiro canino è tornata a ruggire persino Monica Cirinnà che coglie l’occasione per ricordarci che la “legge Zan” affossata dalla destra brutta e cattiva avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Del resto per il femminismo ideologico la libertà di parola minacciata e il reato di opinione hanno secondaria importanza. Alla fiera si è unita anche Laura Boldrini – non poteva mancare – puntando il dito contro il governo.

Stendiamo una trapunta sulle analisi e i commenti giornalistici in cui la colpa dell’atroce delitto si è trasferita dall’esecutore materiale a tutti gli uomini. L’obiettivo di una certa sub cultura è chiaro: distruggere l’uomo, generalizzando un fenomeno grave che non può essere affrontato se non attraverso il ruolo della famiglia. Non è lo Stato, ma la famiglia che educa, che trasmette i valori e forma la persona.

Lo Stato punisce o al massimo previene l’azione delittuosa o i comportamenti criminali quando essi si manifestano: ben venga la prevenzione, l’educazione e la sensibilizzazione, ma ogni azione concreta è nulla se manca il ruolo cardine della famiglia, quella famiglia che con ogni mezzo si vuole distruggere.