Lo scorso mercoledì 17 novembre, Pedro Sánchez ha giurato davanti al re Filippo VI per un altro mandato come primo ministro spagnolo. Il segretario del Partito socialista ha guidato tutti i governi spagnoli dal 2018 e quello per cui è appena stato nominato è il suo terzo governo di fila.
La fiducia al nuovo governo, arrivata a più di quattro mesi dalle elezioni di luglio, è stata caratterizzata da lunghe trattative: l’accordo più controverso è stato quello con Junts per Catalunya, partito indipendentista catalano guidato da Carles Puigdemont, che prevede fra le altre cose un disegno di legge per concedere l’amnistia a tutti gli attivisti indipendentisti catalani che avevano partecipato all’organizzazione del referendum per l’indipendenza della Catalogna nel 2017, considerato illegale dallo stato spagnolo, e ad altre azioni legate alla causa indipendentista per cui c’erano state violazioni della legge.
L’amnistia per ottenere il sostegno necessario per formare un nuovo governo, ha provocato una dura risposta da parte del popolo spagnolo. Centinaia di migliaia di persone si sono radunate a Madrid, a Barcellona, in Andalusia e a Bilbao. In 170’000 hanno marciato sabato a Madrid per protestare contro la legge di amnistia a favore dei socialisti catalani, “Traditore” si legge sui cartelli dei manifestanti.
Ma non è solo la gente in piazza a ribellarsi. Secondo associazioni giudiziarie, partiti politici di opposizione e leader economici, questa nuova legge minaccia lo stato di diritto e la separazione dei poteri. Insomma sembra che pur di essere presidente Sànchez sia disposto a tutto, anche aggirare la legge e la costituzione del suo stato.
Persino gli ex soldati hanno espresso il proprio dissenso, il giorno del giuramento davanti al re, 50 ex militari hanno fatto un appello disperato all’esercito affinché quest’ultimo destituisca il nuovo presidente e vengano convocate nuove elezioni.
D’altro canto le cose non andavano bene già da un pò. Dopo i deludenti risultati ottenuti dal suo partito, alle elezioni amministrative che si sono tenute lo scorso maggio Sanchez si era dimesso, mossa politica senz’altro che puntava a battere i conservatori.
Nel suo programma elettorale parla di aumentare il salario minimo e ridurre la disoccupazione ma è proprio durante i suoi governi che la Spagna ha toccato i livelli di occupazione più bassi, ad oggi la disoccupazione è stabile al 12% (In Italia è il 7,4%).
L’obiettivo comune sembra essere diventato solo ed esclusivamente uno: sconfiggere la destra, senza un piano politico definito, venendo a patti con chiunque pur di riuscirci.
Saranno i fatti a stabilire se la Spagna entrerà in una nuova fase turbolenta, ma se gli inizi sono questi, non possiamo certo sperare in bene.